(ARC) Trieste, 28 gen - "Nel ricordo di chi, per raccontare e combattere la guerra parlando di pace, ha finito per perdere la vita".
Dieci anni sono passati dal sacrificio dei colleghi Marco Luchetta, Sasha Ota e Dario D'Angelo uccisi a Mostar il 28 gennaio 1994 mentre stavano realizzando un servizio televisivo dedicato ai bambini di quella città, sconvolta da una guerra che probabilmente ancora non è sopita nelle menti e nei cuori delle popolazioni balcaniche.
Ma da quel tragico 28 gennaio, almeno a Trieste, una piccola fiamma di speranza e di umanità è scaturita, con la creazione di quella Fondazione intitolata proprio a Luchetta, Ota, D'Angelo (e poco più tardi anche a Miran Hrovatin, trucidato in Somalia assieme ad Ilaria Alpi), la cui attività - il migliore ricordo di chi ha pagato il prezzo più alto per la nostra libertà d'informazione - è stata illustrata nel corso della cerimonia voluta oggi per ricordare questi colleghi.
Una cerimonia congiuntamente promossa dall'Associazione della Stampa, dall'Ordine dei giornalisti e dal Circolo della Stampa alla quale hanno partecipato il presidente della Regione Riccardo Illy, il vescovo Eugenio Ravignani, il presidente della Provincia Fabio Scoccimarro, il sindaco Roberto Dipiazza, il presidente della Camera di commercio Antonio Paoletti, il commissario del Burlo Garofolo Emilio Terpin, il presidente della Fondazione Cristiano Degano.
Pochi momenti per rammentare molti ricordi, oggi, ma anche per riconfermare, proprio in memoria di questi colleghi, la volontà della città di sostenere l'impegno della Fondazione (la casa d'accoglienza di via Valussi dal 1998 ha offerto assistenza e calore a 300 bambini e loro familiari) nelle sue attività e per testimoniare la perfetta convivenza, a Trieste ed in tutto il Friuli-Venezia Giulia, di quelle genti che invece nei Balcani si sono battute con ferocia e, forse "dentro", si combattono ancora.
Il presidente Illy ha infatti affermato che il sacrificio di Luchetta, Ota e D'Angelo permise alla città, scossa da quell'avvenimento, di "consolidare il miglioramento della convivenza tra i popoli di diversa etnia e religione" che qui abitavano.
Da allora la convivenza è cresciuta, si è fatta "positiva e costruttiva", ha aggiunto Illy, grazie anche al dialogo interreligioso avviato da mons. Lorenzo Bellomi e proseguito da Eugenio Ravignani; ma anche grazie all'impegno delle autorità locali, del sindaco e del presidente della Provincia.
"Spero - ha concluso il presidente della Regione - che il percorso di crescita che siamo riusciti a sviluppare a Trieste possa essere esempio anche ai popoli dei Balcani, dove purtroppo questi dieci anni sono passati meno utilmente. Credo che l'impegno della città sia quello di portare il nostro messaggio di convivenza in quelle terre, aiutando le popolazioni a crescere non solo da un punto di vista economico ma anche politico, sociale e civile".