(ACON) Trieste, 4 mag - Il presidente del sindacato degli
anestesisti ha ribadito le criticità esposte nella lettera
pubblica del 7 aprile, i dirigenti di Asfo, Asugi e Asufc gli
hanno risposto punto su punto. È stato un intenso dibattito tra
medici quello andato in scena oggi nell'aula del Consiglio
regionale, durante la seduta della III Commissione presieduta dal
leghista Ivo Moras.
"Rappresentiamo 350 anestesisti rianimatori - ha premesso Alberto
Peratoner, presidente dell'Aaroi Emac (Associazione anestesisti
rianimatori ospedalieri italiani emergenza area critica) - e
questa non è una disputa personale tra me e la Regione. Noi non
siamo un sindacato che fa arrembaggio e non abbiamo alcun
apparentamento politico. A noi interessano i pazienti, e li
abbiamo sempre curati tutti e bene, che fossero in Terapie
intensive vere o finte, che fossero nei corridoi o nel
sottoscala".
Peratoner è poi andato al cuore del caso-terapie intensive, che
nelle scorse settimane ha avuto una vasta eco mediatica. "Già il
9 novembre una nostra prima lettera poneva 4 problemi: non
vogliamo le file di ambulanze ai Pronto soccorso; non vogliamo
chiudere i Pronto soccorso; non vogliamo la commistione di
pazienti Covid-non Covid; non ci sono i 175 posti letto da
assegnare ai malati Covid". Il problema, sempre nella
ricostruzione del medico-sindacalista, è che dal sistema non è
arrivata alcuna risposta, "così il 7 aprile abbiamo inviato la
lettera aperta a Fedriga, nella quale abbiamo segnalato i
problemi irrisolti e anche la situazione di ferie bloccate,
straordinari ancora non pagati, numero insufficiente e carenza di
competenze degli infermieri immessi nelle aree di emergenza, alta
percentuale di morti per Covid, mancato coordinamento gestionale
anche a causa del depotenziamento della Sores, fallimento totale
della sanità territoriale che ha tolto ogni filtro tra paziente e
ospedali".
Tra i temi più "caldi" della lettera, la denuncia - ribadita oggi
in aula da Peratoner - di "terapie intensive improvvisate
nottetempo a Udine e cura dei pazienti critici in reparti non
adatti". Oltre alla querelle sui numeri: "Con una delibera
dell'agosto 2020, la Regione partiva da un dato di 120 posti
letto, mettendoci dentro quattro realtà come Palmanova, Latisana,
San Daniele e Tolmezzo che non hanno la dignità di terapia
intensiva, in quanto si tratta di aree di emergenza afferenti ai
Pronto soccorso, prive di quei requisiti. Sono stati poi aggiunti
55 posti letto, ma il punto di partenza era sbagliato".
Le tre aziende sanitarie hanno risposto per voce dei rispettivi
direttori dei reparti di emergenza. Tommaso Pellis (Asfo) ha
sottolineato che "la sicurezza è sempre stata garantita a
operatori e pazienti e l'incremento dei posti letto è avvenuto
utilizzando locali adeguati". Quanto agli infermieri, "si è fatto
ricorso a chi pur non lavorando in terapia intensiva aveva le
professionalità più vicine alle esigenze, avviando nel frattempo
un'attività di formazione". E si è lavorato, ha concluso Pellis,
in rete con gli altri ospedali della regione.
Umberto Lucangelo, dirigente dell'Asugi, ha mostrato una serie di
tabelle sull'aumento della mortalità tra prima e seconda ondata
nelle strutture intensive dell'Azienda giuliano-isontina: si è
passati dal 27 al 39 per cento, ma c'è stato un boom di pazienti,
da 33 a 286. I dati sull'accoglienza mostrano "che la rete
regionale ha funzionato" e le ferie "sono state soppresse solo
nelle 3 settimane più critiche, garantendo i riposi". Quanto ai
posti letto improvvisati Lucangelo, iscritto all'Aaroi da 25
anni, ha detto di non riconoscersi nelle posizioni di Peratoner,
facendo l'esempio di un paziente trasferito in un reparto
semi-intensivo a Gorizia e poi intubato, seguito sempre da
anestesisti rianimatori: "Avrei dovuto seguire la nomenclatura e
portare quel paziente a Trieste?", si è chiesto il direttore. Che
anche sul fronte delle operazioni chirurgiche ha scelto di
anteporre le ragioni dell'urgenza a quelle della burocrazia: "Al
Burlo sono stati fatti interventi su uomini e donne, e per i
fanatici della nomenclatura questi pazienti non avrebbero neanche
dovuto entrare".
Ancora più dettagliata la replica di Amato De Monte, direttore
Asufc, che a proposito della lettera del sindacato ha parlato di
"linguaggio poco rispettoso e accuse prive di fondamento". "I
numeri fuorvianti - ha detto De Monte - rischiano di far perdere
fiducia nel nostro sistema sanitario, mentre la gente non deve
avere dubbi sulla qualità delle cure". Il dirigente ha assicurato
che "mai pazienti sono stati intubati, ventilati e lasciati nei
corridoi senza la presenza degli anestesisti", che "è falso
parlare di straordinari mai pagati e di abbassamento dell'età dei
pazienti tra prima e seconda ondata pandemica" e che "l'attività
chirurgica non si è fermata". De Monte ha difeso anche la
professionalità degli specializzandi "mai lasciati soli" e degli
infermieri chiamati a operare in emergenza, ricordando le recenti
assunzioni di 22 medici.
Gianna Zamaro, direttore centrale Salute, ha dato alcune
spiegazioni sui numeri: "I 120 posti letto di Terapia intensiva
comprendono quelli delle ex aree di emergenza, garantiti a turno
dagli anestesisti, indicazione accettata dal Ministero. Quanto
all'invio dei dati al Cros, a loro interessa solo se un paziente
è intubato: se è così, viene considerato in terapia intensiva. Il
numero dei morti è stato alto ma in un range ragionevole,
altrimenti il Ministero sarebbe intervenuto". Quanto al
"fallimento" della medicina del terrritorio, Zamaro ha ricordato
che è anche una questione di risorse in quanto negli anni si è
investito poco in prevenzione.
1 - segue
ACON/FA-fc